mercoledì 18 novembre 2009

Ti troverò, per ringraziarti

Quasi invisibile nell’oscurità, l’uomo entrò nella stanza con passi felpati. Si avvicinò nel silenzio più assoluto al letto matrimoniale e vi fissò lo sguardo respirando in fretta. Antonio e sua moglie erano immersi nel sonno, vicini, inconsapevoli di quella presenza. L’uomo rimase immobile ai piedi del letto, poi fece qualche passo verso Antonio, si chinò su di lui e gli sussurrò all’orecchio: "sto ancora aspettando che tu mi ringrazi".
Antonio si svegliò di soprassalto, il respiro affannato, la bocca asciutta, il cuore che batteva con violenza. La sveglia segnava le tre, e nel buio le ombre assumevano forme minacciose. Aveva sognato. Lo stesso sogno di sempre, quel sogno dal significato tanto chiaro, quel sogno che da mesi gli avvelenava le notti. Si mise seduto, il viso tra le mani, sconvolto dalla sensazione di gelo, di solitudine, di impotenza che ogni volta il sogno gli lasciava. Era stanco, stanco di non dormire, stanco di non saper affrontare il suo problema, stanco di sentirsi stanco. Si alzò, andò in cucina senza accendere la luce, si sedette al tavolo e fece un respiro profondo. Guardò davanti a sè la sedia vuota , ripensò all’uomo chino sul suo viso ed annuì più volte. "Va bene", sussurrò al buio ed al sentore di quel sogno, "va bene, ti troverò, lo giuro, ti troverò, per ringraziarti". Poi tornò a letto, sfiorò con le dita i capelli della moglie e passò il resto della notte sveglio, a chiedersi in quale modo avrebbe mai potuto rispettare il suo giuramento. Verso l’alba si addormentò, sfinito ma sollevato per la decisione presa.
Nessuno lo avrebbe aiutato, lo sapeva. Non poteva chiedere, non sarebbe servito supplicare, doveva fare tutto da solo. Quel mattino si vestì con cura e salutò la moglie con un bacio come faceva ogni giorno prima di uscire per la sua passeggiata: "Oggi starò fuori un po’ più a lungo, devo fare una cosa importante, poi ti racconterò". Lei non chiese nulla, paziente e comprensiva come sempre, come poche donne sanno essere, fiduciosa in quell’uomo leale e fedele come pochi uomini sanno essere. Si volevano bene da quasi quarant’anni, e non avevano bisogno di molte parole per capirsi. Lei conosceva il suo tormento, e vide nel suo sguardo una determinazione che poteva avere un solo significato. Gli accarezzò una guancia e sorrise: "Allora ti aspetto per l’ora di pranzo".
Uscendo nell’aria tiepida di settembre, di nuovo si chiese se non fosse tutta una follia. Nessuno lo obbligava a farlo. Paura, aveva paura, paura di fallire, paura di sapere, paura che fosse tutto un errore. Alzò le spalle, basta, ormai hai deciso, vai fino in fondo, non hai più scelta. Salì in macchina, fece scaldare il motore, affrontò le curve aspre che lo avrebbero portato a Perugia ed alla biblioteca. Tranquillo, mormorò a se stesso, ci riuscirai, ci devi riuscire.
Chiese i giornali dei primi di febbraio. Tutti i quotidiani più importanti, con tutta la cronaca locale possibile. Doveva pur partire da qualcosa, da qualche parte. Passò la mattinata a sfogliarli con attenzione, una pagina alla volta senza saltare un solo trafiletto. La bibliotecaria, una ragazza carina e sorridente,  gli aveva suggerito la consultazione informatica ma lui non aveva dimestichezza con i computer, aveva chiesto il vecchio, rassicurante cartaceo. Forse con il computer avrebbe fatto più in fretta ma a lui il tempo non mancava. Poteva perderne quanto ne voleva.
Quella fu la prima di una serie di mattinate in biblioteca. La ragazza lo vedeva arrivare e gli porgeva i giornali, non aveva idea di che cosa cercasse ma gli piaceva il viso aperto dell’uomo, il suo sorriso gentile, la sua cortesia. Provava una sorta di tenerezza nel guardarlo leggere con attenzione ogni rigo, gli occhiali sul naso e l’espressione concentrata, isolato dal mondo intero, immerso nella sua ricerca di chissà cosa di chissà chi…
Antonio ci mise nove giorni. Poi trovò quello che stava cercando.
Il giornale  era del 10 febbraio e riportava le generalità dell’uomo, il luogo in cui era avvenuto l’incidente, un piccolo paese nel comune di Arezzo, e poco di più. Francesco, 6o anni, era caduto da un albero ed aveva riportato una commozione cerebrale seguita da coma irreversibile.  Il cuore di Antonio batteva con violenza, cercò di calmarsi senza riuscirci, si alzò, chiese alla ragazza di dargli quella stessa testata,  11 febbraio.  La ragazza lo osservò cercare in modo frenetico tra le pagine, lo vide impallidire, e si preoccupò nel vederlo con il viso tra le mani, sconvolto, emozionato, affannato.
11 febbraio. E’ morto ieri l’uomo di Arezzo caduto da un albero due giorni fa. I parenti hanno autorizzato il prelievo degli organi, avvenuta a cura dell’équipe del reparto trapianti di Pisa…
Il cuore di Antonio sembrava impazzito, aveva la gola chiusa dall’emozione, le lacrime agli occhi, la voglia di urlare; la mente faceva fatica ad afferrare fino in fondo il significato di ciò che stava leggendo . Ti ho trovato, sussurrò, ti ho trovato. Ti ho trovato.
La seconda ricerca fu più facile, e molto fortunata. L’elenco telefonico di Arezzo riportava una sola voce con quel nome. Antonio fissò sua moglie e le chiese: "Sii sincera, pensi che io sia pazzo?". Lei scosse la testa, sorrise: "Fai quello che devi fare". E lui compose il numero con le dita tremanti.
Due squilli, tre, quattro, risponditipregotipregotiprego, sei, sette, tipregorisponditipregotiprego, nove, mi sa che non c’è nessuno, poi all’improvviso una voce di donna, roca, un po’ brusca, "Pronto?". La moglie, forse, la figlia, chissà… che dico adesso? Antonio aveva immaginato migliaia di volte quel momento, si era preparato decine di belle frasi, ma non ne aveva neanche il minimo ricordo mentre annaspava alla ricerca  delle parole giuste. Così parlò a ruota libera, con la paura che lei buttasse giù la cornetta, senza prendere quasi fiato, senza darle modo di interromperlo. Le raccontò della sua malattia, della sofferenza, dell’attesa, di quella notte tra il 10 e l’11 febbraio in cui un donatore sconosciuto gli aveva regalato un fegato sano e con esso la possibilità della guarigione, del ritorno alla vita. Gli arrivava ogni tanto un sospiro breve, piccoli suoni che sapevano di pianto, allora rallentava, si fermava un attimo, continuando poi a riempire con la sua storia quel silenzio pieno di dolore . Raccontò del suo sogno, della sua sensazione che da quella notte un uomo lo accompagnasse in ogni suo momento, chiedendogli ripetutamente di ringraziarlo per il suo dono, e della sua decisione di pochi giorni prima, di come lo aveva cercato, di come non si fosse stupito che fosse veramente un uomo, del fatto che avesse la sua stessa età. Poi finalmente tacque, il respiro corto, la paura di sentirsi rispondere che aveva fatto male a chiamarla, di aver portato di nuovo dolore e lutto in quella casa, in quella vita. Quando lei parlò, gli fece l’unica domanda che Antonio non aveva previsto di sentirsi fare: "Mi dica, lei sta bene adesso?". Così ebbe la certezza di averlo trovato davvero,  ed anche di aver fatto la cosa giusta, perché lui aveva bisogno di ringraziare qualcuno, ma lei aveva bisogno di sapere che quella morte e quella decisione erano serviti a qualcosa, a qualcuno. "Sto bene signora, sì, sto veramente bene, avevo dimenticato cosa significasse stare bene davvero… era suo marito?". "Era mio marito".
Parlarono a lungo. Antonio stringeva la mano di sua moglie ed aveva il viso rigato dalle lacrime. Quando si salutarono lei promise di richiamarlo, quando avesse metabolizzato meglio la cosa, quando si fosse sentita pronta a farlo, la chiamerò, glielo prometto Antonio, la voglio conoscere, ma non ora, è troppo presto, troppo doloroso.


L’ho incontrato per caso, Antonio, un mese circa dopo che mi aveva raccontato di questa sua decisione, di quello che aveva fatto… Ero in sala d’attesa a parlare con una paziente e me lo sono trovato vicino, il sorriso dietro la mascherina che i trapiantati portano nei luoghi affollati, una gioia di vedermi che gli faceva brillare gli occhi. Ci siamo stretti la mano con affetto, lui fa parte del mondo che ho lasciato con dolore, gli ho chiesto come sta, e poi ovviamente gli ho chiesto di quella storia, com’è andata a finire Antonio, ci sei andato poi al cimitero?
Certo che ci sono andato, Anna. E continuo ad andarci, vado sulla sua tomba almeno due volte il mese, come se fosse un mio parente, un amico carissimo, e tutte le volte lo ringrazio, e mi sembra, come dire, che lui sia lì a rispondermi, a farmi l’occhiolino. La moglie mi ha richiamato proprio due giorni fa, dopo più di un mese, non me l’aspettavo più ormai, invece mi ha detto di non aver mai smesso di pensarci, vuole conoscermi, conoscere mia moglie, la mia famiglia, e di nuovo ha voluto sapere se sto bene, io sto benissimo Anna, ancora meglio ora che ho saputo, lo so che per legge il donatore deve rimanere anonimo, ma io stavo impazzendo, dovevo fare qualcosa.
Ci siamo salutati con un abbraccio, la moglie sempre vicina, piccolina e sorridente, semplice e buona come lui, un amore che le illumina gli occhi ogni volta che lo guarda. Ho il cuore stretto mentre lascio la sala d’attesa e rientro nel reparto in cui lavoro adesso, ho sentito tante storie belle negli anni in cui ho lavorato con i trapiantati, ma questa mi ha commosso più di tutte le altre, l’ho raccontata a tante persone, ed ogni volta immagino Antonio che lascia il cimitero col cuore leggero, libero finalmente dal suo tormento, sereno dopo aver ringraziato, di nuovo, quello sconosciuto che morendo gli ha donato una nuova vita.

 

 

Una risposta a Ti troverò, per ringraziarti.

  1. Agnese scrive:
    L’ho riletta e di nuovo mi sono emozionata per questa stroria… Io non credo nell’aldilà, non credo in Dio, però credo nell’amore tra gli uomini qui sulla terra e questo è un chiaro segno di amore, altruismo, generosità e gratitudine tra persone sconosciute ma legate tra loro, anche se in modi diversi, dalla cosa più bella: il dono della vita!