sabato 31 gennaio 2009

Diario

31 gennaio, ore 9,30

Tanto per cambiare mi sono svegliata prestissimo, dopo una notte di sonno un po’ agitato forse per la troppa stanchezza: ieri ho sciato per quasi sette ore, in una giornata di splendido sole ed altrettanta serenità, ma i miei muscoli stanotte protestavano. Nel tentativo inutile di riaddormentarmi, mentre la sveglia segnava poco più delle sei, ripensavo ai commenti di due persone che mi hanno detto di aver letto le poche pagine di questo blog e di essersi commosse… che cosa farebbero se potessero leggere certe pagine del diario che scrivevo non tanto in adolescenza quanto da adulta, quando il mio diario non era più un semplice resoconto delle mie giornate ma l’espressione concreta dei miei sentimenti, dei miei pensieri, delle mie reazioni di fronte agli eventi belli e brutti che hanno accompagnato la mia vita… Così, con la casa ancora buia ed addormentata, ho ritirato fuori dalla loro nicchia alcuni miei diari, quelli dei momenti più importanti della mia vita, e ne ho riletto certe pagine, commuovendomi un po’ di fronte alla mia scrittura precisa,  a quelle pagine scritte fitto fitto, a quelle descrizioni  della mia vita e dei miei pensieri… mi sono riletta soprattutto le pagine del 1989, quando ero incinta di Erika ed avevo un sacco di tempo per me visto che non potevo lavorare, e mi piaceva fermare sulla carta le sensazioni che mi davano la mia pancia che cresceva, raccontare delle ecografie che mi permettevano di vedere lei (ma non sapevo fosse una lei, anche se lo speravo tanto) , i sentimenti dolcissimi che accompagnavano quell’attesa, il rapporto con Simone, il mio nipote adorato che all’epoca aveva due anni e che all’ultimo abbracciava il mio pancione chiamandolo  "pallone"… e la sera dell’undici agosto 1989, malgrado la spossatezza ed il dolore della ferita , ho scritto quattro pagine fitte, piene dei miei pensieri di quel giorno indimenticabile, di quel giorno per me così importante che quelle quattro pagine le voglio ricopiare qui.

Pisa, 11 agosto 1989
La vita può farti dimenticare molte cose, molti visi, molte voci, molti avvenimenti anche importanti. Puoi  dimenticare di aver sofferto, di aver gioito, puoi dimenticare la rabbia di un tradimento, la tristezza di un abbandono, la delusione di un rifiuto, la felicità di un assenso… Puoi dimenticare un volto che credevi impresso come un marchio a fuoco nel tuo cervello e puoi dimenticare così gran parte di ciò che hai creduto indimenticabile.
Ci sono cose però che io non potrò mai dimenticare. Il giorno del mio matrimonio. La morte di Aldo e Paolo. Il volto indifferente del medico che mi disse che mio padre, 54 anni,  era affetto da Alzheimer. La nascita di Simone. La morte di zia Angela. E cose molto più lontane… la domenica in cui mio padre mi portò via dall’ospedale di Losanna ed andammo a vedere "Il libro della giungla"; le mie lacrime, quella sera, al mio rientro in ospedale dove stavo passando troppo tempo della mia vita di bambina. Il mio esame per entrare al College, e le dita incrociate di mio cugino Paolo quando rientrai a casa; l’orgoglio di essere la prima italiana a superare quell’esame. Il rimpatrio in Italia, la mia Italia dove mi sentivo un’estranea.
Ci sono fatti,  persone, parole che il tempo non riuscirà mai a cancellare, E questo venerdì undici agosto 1989, queste ore diventate già di ieri, saranno probabilmente le più indimenticabili della mia vita, dalla sofferenza della rottura del sacco amniotico al tuffo al cuore di fronte a quel liquido così scuro, dalla voce sicura del dottor Milano che mi dice che è più prudente praticare un cesareo alla sua stessa voce affettuosa che mi chiede di non aver paura, dallo sguardo un po’ perso di Carlo alla sua rassicurante stretta di mano… poi i ricordi si confondono. Giovanni che mi applica una flebo. Carlo vestito di verde, di cui vedo solo gli occhi, ai piedi del lettino operatorio; teso, lo vedo. Dio aiutami, ho paura, ma soprattutto fai sì che il mio bambino nasca sano. Giuliana mi disinfetta la cute, mi chiede se ho paura. No, rispondo, l’importante è sapere che tra poco sarà tutto finito. Mento, sono terrorizzata, ho paura dell’anestesia ma soprattutto ho paura per il mio bambino. Prego in silenzio, mentre Carlo mi guarda impotente, il dottor Luperi mi rivolge una battuta scherzosa e finalmente Giovanni inizia ad iniettarmi lentamente l’anestetico, ti sentirai un po’ strana mi dice, e mi posa un bacio lieve sulla guancia, lo ringrazio con un nodo in gola e sprofondo nel niente. Ultimo pensiero, il più buffo, mi sveglierò senza il mio "pallone".
Ero agitatissima, mi hanno detto, Non ricordo. Ricordo la luce, i miei occhi che non riuscivano ad aprirsi, la mia bocca impastata, le parole così difficili da pronunciare.  E ricordo di aver chiesto dieci, cento, mille volte: il bimbo come sta? è normale? è sano? come sta il bimbo? E voci eccitate e felici che mi rispondevano, sta benissimo, è più che normale, ma è una bimba! Ricordo la mia incredulità, la mia felicità, la mia incapacità di svegliarmi completamente, voglio svegliarmi sussurravo, il bimbo, come sta il bimbo, e di nuovo quelle voci, sta bene, è una bimba, ricordo Palma sorridente, Nedo commosso, mia madre, mia zia, e Carlo che mi baciava, ed io di nuovo che chiedevo come sta il bimbo, e di nuovo lui che mi ripeteva, Anna, è una bimba! Ma davvero è una bimba? Davvero? E lui, finalmente disteso: guarda che gliel’ho vista io, la pepa!!!
E non dimenticherò neanche il resto della giornata. Pioggia e tuoni. E il dolore così forte. E quel pensiero fisso: è una bambina! La bambina che tutti desideravano, e più di tutti… io. Adesso posso dirlo. Nove mesi, a sperare che nel "pallone" ci fosse Erika. Incredulità: davvero la fortuna mi ha voluto così bene? Mi addormento ogni tanto, ancora un po’ sotto l’effetto dell’anestesia. Mi sveglia il dolore. Si alternano al mio fianco le persone più care. Arrivano i fiori, riempiono pian piano la stanza. I primi sono quelli di Simone… Simone con gli occhi spalancati che non dice una parola, Simone che sento di amare più che mai, mi guarda in silenzio e all’improvviso sussurra: "tia Anna… male!". Vorrei abbracciarlo, vorrei piangere, vorrei cancellare dai suoi occhi quell’angoscia, piccolo dolcissimo Simone neanche questo dimenticherò, tu sei forse quello che più ha sofferto per la mia sofferenza, tanto che ho cercato di ingannarti con un sorriso: "no Simone, non ha male la zia!". Ma non ti ho convinto affatto.
Tutto il giorno, un susseguirsi di gente. Desidero tanto un po’ di pace. Desidero tanto abbandonarmi ad un lungo pianto, e metterci dentro di tutto: la paura finalmente passata, il dolore, la gioia, ed anche la rabbia di sentirmi dire da tutti che la mia bambina è bellissima e di non poterla vedere, io, proprio io, la sua mamma! Vorrei soffrire il doppio, ma vederla almeno per un attimo. E vorrei proprio piangere, sfogare la mia delusione, avevo sognato un parto bellissimo, avevo chiesto al dottor Milano di non tagliare subito il cordone ombelicale quando sarebbe venuto quel momento, di appoggiarti un momento sul mio addome… volevo un distacco dolce, volevo essere la prima a vederti, ed invece ti hanno già vista tutti fuorché io! Sì, vorrei piangere ma non mi lasciano mai sola, e sto male come un cane.
Poi la sorpresa. Il momento più bello della mia vita. Posso forse dimenticare anche l’indimenticabile… ma "quel" momento, mai: l’infemiera del nido che entra in camera con quel fagottino in braccio, che me lo porge sorridendo. Mi si ferma il fiato. Dimentico il dolore, la flebo, la ferita, tutto. La mia bambina! Ha due splendidi occhi. Grigi, credo. E’ minuscola, dolcissima, e mi guarda con curiosità. Ho la gola chiusa. Mia figlia! Dio, non può essere vero. Le sfioro il viso, le mani, il petto. Ho occhi solo per lei. Carlo mi è vicino, osa appena sfiorarla. La nostra bambina! Se mai esiste la felicità, è quella che provo in questo momento. Ho un accesso di allegria, le tolgo un calzino, le guardo il piede nudo e rido, questi piedini, quanti calci mi hanno dato! Glielo bacio, le bacio le manine perfette, vorrei soffocarla di baci, vorrei piangere di gioia, mi limito a guardarla e guardarla ancora e chiedermi se davvero, davvero sono così fortunata!
Erika. Anzi Erika Chiara, perché sei nata il giorno di santa Chiara, nell’ospedale di santa Chiara, ed era presente zia Chiara. Vengono fin troppo presto a riprenderti, ma vederti ha fatto sì che se ne andassero tristezza e delusione. Gli altri ti guardino pure, vengano pure a dirmi l’ho vista, è bellissima. Io ti ho tenuta in braccio. Mi guardavi. Guardavi ME, non un vetro. Non ho più voglia di piangere. Ho voglia solo di dormire, in attesa di domattina, quando ti riporteranno di nuovo tra le mie braccia. A domani Erika, tesoro mio.


Sono passati più di diciannove anni da allora, ed ovviamente in questi anni sono successe moltissime cose. Ma quell’undici agosto del 1989 che ha reso me madre e lei figlia è rimasto nel mio cuore e nei miei ricordi come il più prezioso dei gioielli. Ci sono stati momenti bellissimi, altri molto difficili, qualcuno orribile… ma tu tesoro sei sempre e sempre sarai per me quell’essere indifeso che quel pomeriggio hanno posato tra le mie braccia e che mi sono promessa di proteggere ogni giorno… e solo la morte, o forse neanche quella, potrà impedirmi di esserti sempre vicina.

 

Una risposta a Diario

 Erika scrive:

31 gennaio 2009 alle 14:58

eh ma così non è giusto…sniff…

giovedì 29 gennaio 2009

Il cielo ed io

28 gennaio, ore 22,30

 

Qualche sera fa, guardando dal mio letto il cielo oltre il lucernario, mi si è quasi fermato il respiro per la bellezza dello spettacolo che mi offrivano le stelle… avevo di fronte, incredibilmente brillante, la costellazione di Cassiopea con la sua inconfondibile forma a doppia vu, e poco più il là, altrettanto nitide, le Pleiadi. Mi sono alzata sul letto e, naso contro il vetro nel buio completo della mia stanza,ho provato la stessa emozione di sempre nel guardare il cielo meraviglioso che nelle notti limpide sovrasta la campagna poco illuminata in cui abito, ed ho salutato in un sussurro commosso anche l’affascinante Orione ed il poco riconoscibile Perseo, rimanendo per un bel po’ ad ascoltare il battito profondo dell’universo sopra di me. Mi capita spesso, quando Carlo lavora di notte, di stare sul terrazzo a godere della bellezza del cielo, o di dormire con l’oscurante del mio lucernario aperto per sentire la compagnia delle stelle o della luna… da qualche anno l’astronomia è entrata nel mio cuore, ed è sempre un’emozione per me riconoscere una costellazione,  e magari riuscire a puntare con il telescopio proprio la stella o il pianeta che voglio osservare… 

Ieri mattina mi sono alzata un po’ prima che suonasse la sveglia,  e mentre sorseggiavo il mio solito bidone di caffè lungo sono uscita in giardino e naturalmente ho guardato in alto… il grande carro  mi si è presentato davanti solitario, maestoso, nitido con le sue sette stelline, e sarei rimasta a naso all’insu a guardarlo fino al sorgere del sole se solo non avessi dovuto recarmi al lavoro. Ho pensato, oggi sarà per forza una buona giornata.

In quei momenti provo qualcosa che somiglia molto alla felicità. Lo so che può sembrare assurdo, l’umore di una giornata non può certo essere condizionato dal cielo più o meno limpido o da una costellazione più o meno evidente, non è questo che intendo… ma una notte limpida mi dà sempre la consapevolezza dell’immensità in cui siamo immersi, un mattino stellato mi fa iniziare meglio la giornata, e soprattutto mi fa sentire parte di un disegno divino… il che detto da una quasi atea credo la dica lunga su come mi sento.

Ma c’è anche il rovescio della medaglia… come il cielo coperto e buio di stasera. In altre sere probabilmente non ci farei neanche caso, darei un’occhiata e farei spallucce, o magari mormorerei peccato, stasera Orione non si vede… ma ho un macigno sul cuore, un macigno che si chiama preoccupazione, e questo cielo sembra in linea  con la mia tristezza, e che trattenga le lacrime come faccio io. So che al di là delle nuvole le stelle ci sono… devo solo aspettare che si diradi la cortina scura che le copre. Forse domani saranno così luminose da farmi pensare di poterle toccare se allungo una mano, e dimenticherò il cielo buio di stasera. Devo solo aspettare… ed anche la serenità, come le stelle, tornerà; o meglio… è lì, dietro le nuvole, come loro

 

 

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Stella Le Pleiadi Stella

lunedì 26 gennaio 2009

Gennaio sta già finendo...

Gennaio sta finendo e questo blog durante  questo mese è rimasto miseramente vuoto… mi ero ripromessa, come quando scrivevo un diario, che avrei scritto almeno un intervento il mese, più che altro per tenermi in contatto con me stessa… Ma è come quando ti fai mille buoni propositi all’inizio dell’anno: il due gennaio già la volontà va a farsi fottere.
Tuttavia eccomi qui… la solita domenica mattina in cui mi sveglio all’alba, mi faccio un bidone di caffè bello lungo da far vergogna ad una napoletana verace quale sono in teoria ma non in pratica, mi immergo con gioia nel silenzio meraviglioso di una casa addormentata in cui l’unico rumore avvertibile è il ron ron di Minou… uno dei pochi momenti della mia settimana in cui sto veramente sola con me stessa ed in cui faccio vincere il desiderio di non fare assolutamente niente. Così il cervello viaggia senza una meta, un po’ come il computer il cui schermo mi ha dato le date del concerto della Pausini e relativi prezzi del biglietto, poi quelle del musical Notre Dame de Paris visto quest’estate ma che voglio rivedere, poi Facebook che ad essere sincera mi sta un po’ annoiando, il meteo ed un po’ di cronaca tanto per farmi venire un po’ di tristezza… un po’ come lo zapping con il telecomando, solo un po’ più silenzioso e mirato, anche perché io la tv proprio non la sopporto. E infine questo pensiero… sta già finendo il primo mese dell’anno, ed io cos’ho messo in pratica dei miei buoni propositi? Mi ero ripromessa: di mangiare meno schifezze, e ci riesco un giorno sì e due no; di avere più pazienza con le mie bimbe, ma in fondo quello fa parte del mio carattere e del mio rapporto con loro e non c’è buon proposito che tenga; di leggere qualche buon libro, ma la sera crollo che sembro pagata ed i libri acquistati stanno sempre lì ad aspettarmi; di lavorare con più serenità ma con certi colleghi la cosa continua ad essere impossibile; di spendere meno e mettere qualcosa da parte ma a quanto pare stipendio da infermiera e risparmi non sono compatibili; di comprarmi una bella macchina fotografica per riprendere a fare qualche foto un po’ più creativa rispetto a quelle della compatta, ma certe spese inaspettate mi sa che me lo impediranno… insomma, dall’anno vecchio non è cambiato niente, se non che ho un mese di più. Tra due settimane o poco più compio 49 anni, non me li sento e mi dicono che non li dimostro ma il calendario non perdona, rughe e capelli bianchi hanno fatto la loro comparsa da un pezzo, la menopausa ed io siamo ormai amiche per la pelle, gli anni ’80 dei miei vent’anni sono sempre più lontani… ma facendo un bilancio di questo primo quasi mezzo secolo mi sento soddisfatta, ho costruito molto, distrutto poco, dato e ricevuto moltissimo, ho una famiglia che è ancora un cantiere con lavori in corso e non se ne vede la fine ma tutto sommato ci sono costruzioni ben più brutte, amici su cui contare, gente che mi vuole bene, interessi a non finire ed ancora molta voglia di vivere e di migliorare. Se dovessi fare un bilancio sarebbe del tutto positivo, e credo  di non poter chiedere molto di più. Così in questa mattina di domenica dal cielo spruzzato finalmente di azzurro mi sento bene, quasi felice, ottimista come spesso mi capita, convinta che al di là dei buoni propositi le cose oggi, domani, dopodomani e per sempre saprò viverle nel modo giusto. E se per qualcuno sono, e sono sempre stata, stronza… probabilmente è solo perché se l’è meritato. A buon intenditor poche parole.