mercoledì 30 marzo 2011

I nostri giovani, il futuro


Dopo un periodo di pessimismo nero (e come non provarlo, con quel che sta succedendo nel mondo) ieri ho visto finalmente uno spiraglio per un futuro migliore,  ho sorriso come non facevo da tempo, e mi sono sentita orgogliosa per l'impegno enorme di dieci ragazzi anche se ne conoscevo  uno solo.



Tra i miei tanti impegni, in questi ultimi mesi ho dato una mano ad un allievo infermiere (da ieri dottore in infermieristica) per la stesura di una tesi decisamente inusuale e difficile sull'assistenza infermieristica ai pazienti trapiantati di fegato durante la procedura di fotoaferesi. Ne è venuto fuori un bellissimo lavoro di cui ci siamo sentiti entrambi orgogliosi, e benché io non abbia potuto, come lui tanto avrebbe desiderato, essere il suo relatore dato che non sono professore universitario, ho fatto salti mortali per essere presente alla sua discussione, per l'appunto ieri pomeriggio. C'ero andata per lui, per offrirgli fino in fondo la mia solidarietà e la mia esperienza, per vederlo attraversare il traguardo della laurea dopo tanta fatica, e pensavo di assistere alla sua discussione e poi andarmene.... e invece ci ho passato il pomeriggio, ascoltando con interesse e meraviglia ognuna delle dieci tesi discusse, ammirando l'impegno di questi ragazzi giovanissimi, il loro entusiasmo per questa professione tanto difficile, il loro contributo  per renderla  più valorizzata, considerata, autonoma, preziosa. Ho rivisto in loro il mio entusiasmo di tanti anni fa, quando ho scelto il mio lavoro sapendo a quanti sacrifici andavo incontro ma anche determinata a farmi valere, a cercare di rendere più qualificata e valorizzata questa figura tanto sottovalutata e bistrattata, per non dire a volte disprezzata. Nei trentacinque anni passati dal giorno in cui ho messo piede per la prima volta nella scuola infermieri, a quel tempo scuola regionale cui si accedeva dopo soli due anni di superiori, non ho mai perso il mio entusiasmo, non ho mai pensato di cambiare lavoro, ho perfino preso il diploma di maturità e poi la laurea per non sentirmi un passo indietro rispetto alle nuove leve, e ricordo con orgoglio ed emozione il giorno in cui, ultraquarantenne, ho discusso la mia tesi in quella stessa aula magna dove ieri mi sono emozionata di fronte a quei dieci ragazzi che ho ascoltato uno per uno con l'orgoglio di una mamma. Avrei voluto far loro i miei complimenti, abbracciarli, dire loro di non mollare mai, di non perdere mai questa loro voglia di fare, di dimostrare al mondo quanto bella è la nostra professione, di non lasciarsi mai sopraffare dalla routine ospedaliera che troppo spesso schiaccia la volontà e l'entusiasmo anche dei più volonterosi. E come donna mi sono sentita orgogliosissima delle due belle ragazze, tanto belle da poter essere fotomodelle, che hanno ottenuto tra applausi e lacrime centodieci e lode ed il complimento sincero del direttore del corso di laurea.... in un momento in cui l'immagine della donna che l'Italia sta offrendo al mondo è purtroppo  ben diversa da quella vista ieri, ed in cui sembra quasi che una bella donna possa desiderare solo di diventare una escort o una velina... bellissimo sentirle parlare delle loro ricerche, sentire la loro passione ed il loro amore per questo studio tanto difficile e per questa professione tanto bella quanto poco amata.






Sono uscita dall'aula magna con un sorriso felice stampato in faccia, ed ho camminato per le strade di Pisa continuando a sorridere, con negli occhi l'immagine di una bella e sana gioventù, del mio ex allievo commosso mentre mi regalava i suoi confetti rossi ed una stampa della sua bella tesi, dei suoi genitori emozionati ed orgogliosi, della gioia di questi ragazzi contornati da amici e parenti in uno dei momenti più belli della loro vita. Ho ancora il nodo in gola mentre lo racconto, e terrò in un angolo del mio cuore, tra i ricordi migliori, quelle ore che mi hanno fatto fare pace con questa generazione.

martedì 15 marzo 2011

… domani è troppo tardi


Un tempo credevo fermamente che al di là della vita ci fosse un’altra vita. Poi ho smesso di crederci fermamente, ma ho continuato a pensare che quella parte di noi che ci distingue dagli altri sette miliardi o quasi di esseri umani non può morire con il nostro corpo, e continua a vivere sotto altra forma. Ci ho voluto credere con tutta me stessa, soprattutto quando sono morti i miei più cari amici in un incidente stradale (ne parlo qui) e mi è sembrato  di impazzire dal dolore. Adesso non so più a cosa credere… sono confusa e non riesco a pensare ad altro che al fatto che troppo spesso la morte ti toglie persone amate, ed ogni volta fa più male.
Sono passati tantissimi anni dal giorno in cui sono morti Aldo e Paolo, ma il mio dolore è sempre lì,  e mi colpisce ogni volta che penso a loro, che ricordo la loro voce, che rivedo il loro sorriso rimasto giovane, e tento, senza riuscirci, di immaginarli invecchiati, con capelli bianchi e rughe, con la meravigliosa follia dei vent’anni ammaccata dalla vita.
… La vita. Che ti sommerge, ti fagocita, ti impedisce di vivere. Che ti costringe a correre, a non soffermarti mai come vorresti sulle cose importanti perché non ne hai il tempo, che troppe volte ti fa dire “domani” quando pensi che non vedi un amico da troppo tempo, che non sai niente di lui da mesi, da anni, e ti chiedi perché è successo e ti giuri domani lo chiamo, domani ci vado.
Poi succede che domani è troppo tardi. Che lui non c’è  più. Che non mi farà più ridere con le sue battute sempre pronte, che non potrò più chiedergli come stai, e non potrò più bere il suo caffè. Che non ho potuto salutarlo perché se n’è andato così, all’improvviso, e tutto il tempo che non ho trovato mi pesa come un macigno mentre guardo la sua bara uscire dalla chiesa, e rivedo accanto a me troppe persone che non vedevo da anni , persone che come me lo hanno amato, hanno amato la sua allegria, il suo sorriso, la sua disponibilità, e come me sono esterrefatte e non riescono a crederci, e come me hanno condiviso un po’ del loro cammino con lui,  e lo hanno fatto con gioia.
   E soprattutto guardo te… la mia amica di sempre, quella della mia adolescenza tormentata, e della mia gioventù complicata, quella con cui ho diviso tanta parte della mia vita, e da cui la vita mi ha fatto allontanare piano piano senza che me ne rendessi conto fino in fondo… e guardo il tuo meraviglioso bambino che non piange e per questo mi strazia ancora di più e mi chiedo di quanta forza avrai bisogno adesso, e dove andrai a prenderla che dietro quella tua apparenza dura sei più fragile di un fuscello al vento.

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Rientrerò a piccoli passi nella tua vita, piano piano, in punta dei piedi, per non disturbarti, perché troppe volte ho pensato la vado a trovare, la chiamo, e troppe volte ho rimandato a domani. E non voglio più, mai più pensare che domani è troppo tardi, e mai più voglio fermarmi all’incrocio della morte e realizzare che ho corso troppo ed inutilmente, visto che quello stop alla fine mi ha costretta a frenare. Tanto valeva andare più piano…. e godermi i posti attraversati, ed i miei compagni di viaggio;  e piangere per chi se ne va, ma senza sentirmi in colpa per aver pensato che avevo la vita davanti per rivederlo. La vita è troppo breve ed imprevedibile per crederci ancora.